Bike Sharing a Milano. Un esempio di ci... ah no.

  • 16/10/2017 06:47:00

<p>Oggi parto bene con la settimana, concedendomi uno spazio “civico” una volta tanto.</p>

Oggi parto bene con la settimana, concedendomi uno spazio “civico” una volta tanto.

Il Bike Sharing a Milano.

Non capisco se sia peggio l’utopia di chi è convinto che possa funzionare, o l’incapacità della gente di comportarsi in un paese che afferma di essere “civilizzato” (e invece dimostra sempre più di essere nel terzo mondo).

Tutto questa voglia di condividere è partita da questo post trovato (pubblico) su Facebook (i commenti sotto il post non sono di mia responsabilità però).

Non sono affatto sorpreso di vedere uno scempio simile, tuttavia girando un po’ in Rete ho trovato cose che hanno alimentato ulteriormente il mio fastidio. Partirei nell’ordine dicendo che l’idea del bike sharing sia veramente una bella idea. È utile, è comoda ed è sicuramente indice del fatto che le cose stanno cambiando, e quando le cose cambiano in meglio, è… bene.

Ma come spesso capita la faccenda sfugge al controllo, soprattutto delle amministrazioni che pensano che la gente vada sul loro sito Internet a leggere il manuale di come si devono fare le cose. Forse non hanno ben chiaro che – per via del bordello intrinseco di come sono strutturati i dati e del modo in cui fanno le comunicazioni – il grosso delle visite che hanno saranno quelle dei motori di ricerca.

Quindi ho girato un po’ in Rete (deja-vu) alla ricerca di notizie su questi eventi e, da privato cittadino, mi sono domandato come facessero queste aziende a contrastare il problema dell’inciviltà. Scoprendo cose meravigliose…

Intanto come si comporta la pubblica amministrazione. Nell’unico modo in cui è capace di usare i soldi delle tasse che paghiamo: parlando e proponendo norme e regolamenti. Sperando che la nuova legge sul diritto d’auore non mi imponga di pagare un corrispettivo per il link che riporto, la Repubblica afferma che la giunta comunale del Comune di Milano si è riunita con gli operatori perché venga redatto un manuale delle buone pratiche per l’uso del servizio. In altri termini ci diranno (grazie al cielo) che le biciclette non vanno buttate in mezzo ai prati, dentro ai navigli (perché notoriamente sfidano le leggi di Newton sui corpi immersi), sopra gli alberi o sopra ai tetti delle macchine.

E ci voleva la giunta comunale per dirci come usare un mezzo che ha 200 anni di vita quest’anno (almeno secondo Wikipedia, l’origine della bicicletta risale al 1817 in Germania).

Ometto pensieri intermedi.

Ma non è che ce l’abbia solo con la Pubblica Amministrazione e la sua innata e dimostrata incapacità di gestire le cose.

Ho voluto provare a domandare come si comporti, per esempio, la società OFO che fornisce uno dei servizi (e una delle biciclette riqualificate a Navigazione Navigli nella foto del post… quella che sembra un pesce tropicale).

Subentra un po’ di professionale ora… sono anni che ci fanno un mega pippone galattico sul fatto che i siti Internet debbano riportare informazioni sull’azienda, la privacy, la cookie law, la carta d’identità del CEO, il suo gruppo sanguigno, e bla bla bla… e cosa fa il Comune di Milano? Autorizza il servizio di bike sharing (bello e utile) a un’azienda che di tutti i requisiti di legge e privacy ha indicato il nulla più assoluto e globale. Il sito in italiano c’è, ma non si sa chi sia l’azienda (i dati sono obbligatori), la partita IVA o equivalente (obbligatorio in UE), la pagina privacy (obbligatoria in UE), l’informativa sui co… ah no quelli non li usa. Condonati. Non ci sono nemmeno i contatti ma c’è un fantastico form per contattare l’azienda.

L’ho compilato chiedendo qualche informazione sul come venisse affrontato il problema (senza spunte sul trattamento dati ecc.) ma il sistema rimane in un imbarazzato mutismo rispondendo (ma senza fartelo vedere) con un codice che lascia un po’ sul chi va là…

Ora non voglio sembrare quello che guasta le feste di continuo o faccia propaganda politica, però mi sembra che qualcuno (pagato) stia veramente sbagliando a fare le cose.

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